Superbonus, secondo Confindustria così la stretta del governo frenerà il Pil
“Tassi, Pnrr, Superbonus, energia":
Che succederà alla crescita italiana?”. Nel rapporto presentato dal Centro Studi Confindustria,
Il depotenziamento del Superbonus sarà, insieme all’elevato costo dell’elettricità pagato dalle imprese italiane, il principale freno al Pil italiano nel biennio 2024-2025.
Le costruzioni ad uso residenziale, in termini di valore aggiunto e quindi di contributo al Pil, dovrebbero risentire fortemente della riduzione degli incentivi, già nel 2024 (con il passaggio dell’aliquota dal 110% al 70%) e in misura ancora maggiore nel 2025 (quando ci sarà un ulteriore abbassamento al 65%).
Ricordiamo inoltre che – con un ulteriore decreto approvato a inizio mese – oltre al taglio dell’aliquota (che già ha reso meno appetibile il sussidio), il governo ha anche impedito del tutto di usare cessione del credito e sconto in fattura per fruire delle agevolazioni.
La frenata sui bonus edilizi e il prezzo dell’elettricità faranno da contraltare ai due principali motori del Pil italiano nei prossimi due anni: il taglio dei tassi di interesse e l’attuazione del Pnrr, che sta per entrare nel vivo. Nel 2024 e 2025, infatti, l’ammontare delle risorse da spendere per investimenti e riforme previste dal Piano è pari rispettivamente a 42 e 58 miliardi di euro (oltre 2 punti di Pil all’anno).
A fine 2023 si è riscontrato un picco delle costruzioni, evidentemente condizionato dall’attesa riduzione delle agevolazioni edilizie da inizio 2024. Rialzo che dal 2024 non potrà che andare a calare.
La frenata è dovuta al crollo atteso degli investimenti in costruzioni di tipo residenziale, sulla scia del depotenziamento del Superbonus e degli altri incentivi all’edilizia, la componente di spesa che aveva spinto maggiormente gli alti ritmi di crescita degli investimenti negli ultimi anni.
Uno dei motivi che hanno portato il governo a intervenire per ridimensionare la portata del Superbonus edilizio è stata la stima al ribasso dell’impatto che il provvedimento avrebbe avuto sui conti pubblici negli anni. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti lo aveva addirittura definito “radioattivo”.
In effetti la stima del deficit pubblico nel 2023 è stata di recente fortemente rivista al rialzo dall’Istat, al 7,2% del Pil dal 5,3% previsto nella Nadef di settembre scorso, principalmente per “colpa” delle risorse mobilitate dal Superbonus e da Transizione 4.0 (il piano di incentivi per la digitalizzazione), che hanno comportato un forte rialzo della spesa in conto capitale.
La straordinaria espansione del valore aggiunto registrata da inizio 2021 nelle costruzioni è stata accompagnata anche da un ampio rialzo nell’occupazione: +22,3% le Ula (il numero medio mensile di dipendenti occupati a tempo pieno, ndr) a fine 2023 su fine 2020, contro il +33,4% del valore aggiunto.
Simmetricamente, per il biennio 2024-2025, si prevede che il calo dell’attività atteso quest’anno (e che sarà anche più ampio nel corso del prossimo), conseguente al forte ridimensionamento degli incentivi all’edilizia, sarà accompagnato da un calo di Ula e occupati.
fonte:qualenergia.it
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